L’Armenia dopo le elezioni parlamentari

Nikol Pashinyan
Il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan (Credits: kremlin.ru, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons)

Geopolitical Report Volume 8 Issue 3
Autore: Giuliano Bifolchi

Le elezioni parlamentari in Armenia hanno decretato la vittoria di Nikol Pashinyan generando scontento in una parte dell’elettorato e in Nagorno-Karabakh e confermando quanto il futuro della repubblica armena  possa essere caratterizzato da tensioni sociali. 

Le tanto attese elezioni parlamentari in Armenia si sono svolte domenica 20 giugno 2021 decretando la vittoria di Nikol Pashinyan il quale, con un risultato elettorale superiori alle aspettative, guiderà la repubblica caucasica nei prossimi anni continuando il processo politico iniziato nel 2018 dopo la ‘Rivoluzione di Velluto’.

Con il 53,96% dei voti Pashinyan è riuscito a contrastare l’incalzante ascesa dell’ex presidente dell’Armenia e del Nagorno-Karabakh Robert Kocharyan (21,06% dei voti)che nei sondaggi sembrava potesse seriamente mettere in pericolo la rielezione di Pashinyan o, addirittura, divenire il futuro primo ministro del paese.

Anche se Kocharyan ha dichiarato di non accettare il risultato elettorale e di ricorrere alla Corte Costituzionale e a Stepanakert, capitale della Repubblica di Artsakh (nome con cui gli armeni definiscono il Nagorno-Karabakh), si sono svolte delle proteste contro il risultato delle elezioni parlamentari, sembrerebbe molto difficile che Pashinyan possa perdere nuovamente la leadership del paese nel breve periodo.

Il rischio nel futuro è quello di vedere in Armenia il proseguimento della strategia di Pashinyan volta a rafforzare la propria posizione e ad eliminare opposizione della vecchia élite al potere con conseguente indebolimento del paese, crisi sociopolitica interna, e mancato raggiungimento degli obiettivi di sviluppo economico e rafforzamento militare, fattori che lo scorso autunno sono stati alla base della sconfitta dell’esercito armeno contro quello azerbaigiano nel Conflitto del Nagorno-Karabakh 2020.

Il risultato elettorale può essere accolto con piacere a Baku, perché l’elezione di Kocharyan avrebbe riportato lo scontro armeno-azerbaigiano ai livelli visti prima del 2018 quando, con la salita al potere di Pashinyan grazie a una delle tante ‘rivoluzioni colorate’ dello spazio post-sovietico mal viste da Mosca, l’Armenia ha iniziato a perdere la propria forza politica e diplomatica, anche a causa dello scontro che lo stesso primo ministro armeno ha avuto con la Russia di Vladimir Putin, principale alleato di Yerevan.

In effetti per la leadership azerbaigiana è forse più semplice dover affrontare l’Armenia di Pashinyan, già sconfitta nel conflitto dello scorso anno e obbligata a sedersi al tavolo delle trattative di Mosca e ad accettare un nuovo assetto territoriale svantaggioso in primis per il popolo dell’Artsakh, che una possibile futura Armenia guidata da Robert Kocharyan il cui programma politico aveva tra gli obiettivi quello di ristabilire la Repubblica del Nagorno-Karabakh cercando di superare l’accordo trilaterale firmato da Pashinyan con Russia e Azerbaigian e il rafforzamento dell’esercito per fare in modo che la repubblica armena potesse avere un maggior potere negoziale. 

La ‘fortuna’ dell’Azeraigian vuole che il futuro leader armeno sarà nuovamente Pashinyan il quale avrà una seconda opportunità, dopo quella ottenuta nel 2018, per risollevare le sorti dell’economia armena, contrastare la corruzione presente nel paese, evitando però a sua volta di essere inserito in scandali che coinvolgono il suo staff o membri della sua famiglia, e gestire la difficile situazione dell’Artsakh considerando che fra circa 5 anni Mosca, Yerevan e Baku dovranno discutere nuovamente l’accordo siglato e se far rimanere la presenza militare dei peacekepeers russi oppure no.

Nel frattempo, però, nel Caucaso continua a muoversi la forte intesa tra la Turchia e l’Azerbaigian che tanto incute timore agli armeni. Il 15 giugno 2021, infatti, nella città di Shusha (in azero) o Shushi (in armeno), riconquistata durante l’ultimo conflitto e divenuta il fiore all’occhiello della campagna mediatica di Baku (spesso delegazioni di giornalisti stranieri vengono invitati con l’intento di promuovere la retorica che sottolinea quanto possa essere benefico per la popolazione locale essere ora sotto il governo azerbaigiano), si sono incontrati il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e quello azerbaigiano Ilham Aliyev per siglare un accordo che denota un nuovo capitolo nella cooperazione militare tra le parti.

L’incontro di Shusha aveva spinto la parte turca a ipotizzare la realizzazione di una base militare di Ankara nella regione, eventualità subito smentita da Baku vista anche la pronta risposta russa che mal volentieri vede la presenza della Turchia, paese membro della NATO, nel Caucaso che è parte di quel blizhnee zarubezhe (vicino estero) inteso come Lebensraum (spazio vitale) di Mosca. E’ evidente che le mire turche potrebbero porre la leadership azerbaigiana in una difficile situazione, perché se da una parte Baku deve contestualizzare la propria strategia considerando il significativo ruolo di Mosca nella regione caucasica, dall’altra parte è anche vero che l’Azerbaigian deve parte della sua vittoria al supporto della Turchia il cui obiettivo è quello di assurgere a un ruolo di primo piano nel Caucaso.

Conclusioni

In questo quadro geopolitico si deve inserire l’Armenia di Pashinyan che non solo dovrà migliorare le condizioni socioeconomiche del paese colpito duramente dalla pandemia da Covid-19, ma dovrà cerca di convincere parte dell’elettorato e la popolazione dell’Artsakh che la sua leadership riuscirà a migliorare la vita dei propri cittadini. Il tutto, però, verrà fatto con lo spettro della recente sconfitta armena nel Conflitto del Nagorno-Karabakh e con l’attività politica di Kocharyan e degli altri partiti dell’opposizione pronti a sfruttare ogni singola debolezza o errore e contestualizzato all’interno di una regione dove l’asse Baku-Ankara rappresenta una evidente minaccia per Yerevan.

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